È un Lou Reed quasi commosso - per quanto possa esserlo una faccia scolpita nella pietra - quello che a fine concerto ringrazia il pubblico dell’ arena civica di Milano. Stasera non si accontenta del semplice “thank you” di rito ma si avvicina a bordo palco, scruta la platea e gli spalti lontani, addirittura sembra quasi sorridere mentre più volte porta le mani al cuore per ringraziare i presenti prima di allontanarsi definitivamente. Non era per nulla così scontata tutta questa rilassatezza, vista la partenza incerta e nervosa della serata…ma andiamo con ordine.
Lou Reed mancava dall’ Italia dal 2007, dopo cioè aver portato in tour il concept album Berlin. In questi quattro anni, Reed si è dedicato a progetti musicali alternativi - la riproposizione live di Metal Machine Music, le collaborazioni con John Zorn e Laurie Anderson, già signora Reed, un album di musica da meditazione e una collaborazione con i Metallica per un album che ancora non ha data di uscita ma di cui già si sussurra capolavoro – passando per il cinema - dirigendo un cortometraggio presentato al Sundance Film Festival - ed approdando alla fotografia. Fedele quindi al suo spirito sempre in movimento, Reed approda in Italia, e per pochissime date in Europa, per un minitour – il “Power Rock Tour” - abbastanza alternativo, creato quasi esclusivamente per il nostro paese. La particolarità di queste serate è che Reed, accantonati per il momento i fidi Fernando Saunders e Mike Rathke e mettendo insieme una band che comprende tastiere e sax , recupera un pugno di canzoni del periodo tardo anni’70 e primi anni’80 puntando a riproporle con un sound urbano tipico dell’ epoca, ricco di fiati e di influenze newyorkesi,. Un Lou Reed abbastanza inusuale, quindi, e per questo già da non perdere. Così, in una delle città italiane dove Lou è molto amato e seguìto, la risposta del pubblico non è mancata, facendo registrare il tutto esaurito per ogni categoria di ingressi.
Come già accennato, l’inizio serata è abbastanza zoppicante ed incerto. La band non gira come dovrebbe, Lou è nervoso, canta distrattamente tanto è impegnato a lanciare occhiatacce - che pietrificherebbero qualsiasi essere umano! - in direzione di questo o di quel musicista colpevole di non entrare alla perfezione nel pezzo. Così Who Loves The Sun, per quanto il ritornello risulti accattivante, viene tirata talmente per le lunghe da costringere Lou , dopo tre tentativi non recepiti dalla band di far terminare la canzone, a ruggire verso i musicisti “The End !”
Le cose migliorano un poco, nonostante la tensione rimanga poi nell’ aria per tutta la durata del concerto, con una bella Senselessly Cruel e decollano definitivamente con la lunga e spettacolare All Through The Night, dove chitarre rabbiose e sporche la fanno da padrone. Lou Reed è vocalmente in ottima forma e, nonostante qualche inevitabile cedimento, sono lontani i tempi dove le canzoni venivano “parlate” senza alcun minimo segno di intonazione musicale. C’è da dire che il nostro ha sempre e comunque quasi 70 anni…se poi contiamo come sono stati vissuti, beh, direi che averlo ancora sul palco con tanta potenza, nonostante gli acciacchi fisici purtroppo evidenti, ha del miracoloso. La voce c’è eccome e si fa sentire nella bella versione di Ecstasy ( forse un po’ troppo presente nei tour da anni a questa parte, parere personale) e nella trascinante versione elettrica di Smalltown, scritta in memoria di Andy Warhol e a lui dedicata durante il concerto. Di fatto la dedica ad Andy (“ Io non sarei qui senza di lui.. Presto sarà il venticinquesimo anniversario di Andy Warhol, il mio amato leader. Prima non c’era nulla, nulla. Poi c’è stato Andy ") sarà l’ unica volta, ringraziamenti a parte, in cui Lou si rivolgerà direttamente al pubblico, per il resto saranno le chitarre a parlare. Uno dei momenti più alti della serata, e si potrebbe anche azzardare che il concerto prenda quota proprio da questa canzone, è la cover lennoniana Mother. Reed, come già aveva fatto anni fa per Jealous Guy, rende la canzone completamente propria e la lunga versione che ne esce lascia l’ intera arena civica senza fiato tanta è l’intensità e il grado di coinvolgimento di Lou nell’ interpretarla. La magia non si spezza ma anzi , se possibile, si fa ancora più forte con le successive Venus In Furs, Sunday Morning e Femme Fatale, tutte dal repertorio dei gloriosi Velvet Underground. Abbandonata la chitarra, al centro del palco in modo quasi spavaldo, Lou affronta in acustico il mito di queste tre canzoni e ne esce vincitore, in particolar modo con Sunday Morning dove tocca vette di delicatezza inaspettate. Ma si sa che troppa dolcezza poi rischia di diventare melassa...e non sia mai ! Via quindi alla potente Waves Of Fear, altra gemma di un concerto che sta per concludersi davvero tutto in crescendo, con Lou che ruggisce e strappa applausi al cambio di tempo a metà canzone mentre le chitarre chiudono il brano in una tempesta perfetta di elettricità. La serata “ufficiale” si chiude con Sweet Jane che, fedele al progetto di recupero messo in atto da Lou per questo tour, ritrova un’ introduzione ed una parte cantata apparsa solamente su disco e poi, da allora, sempre lasciata fuori dalle versioni live. Dopo la rapida uscita pre-bis– si sappia che con Lou non sono esattamente un atto dovuto e quindi si rimane sempre un po’ col fiato sospeso – rientrano tutti e parte a mille il giro di basso che fa presagire Walk On The Wild Side ….e invece no! E’ Charley’s Girl e spiazza tutti quelli che si aspettavano il classico reediano per antonomasia. La canzone scorre veloce e tutto sommato senza particolari note di merito che la facciano ricordare, un buon ripescaggio ma nulla più, anche perché al cospetto delle successive scomparirà letteralmente dalla memoria. I Wanna Boogie With You è resa in modo travolgente anche se Lou non si fa scappare l’ occasione per "cazziare" il sassofonista Ulrich Krieger, reo di non essere entrato – o di non aver capito dalla micro-mimica di Reed, quando farlo - al momento giusto con l’assolo di sax. Ma è poca cosa e la canzone apre la strada ad una cacofonia di chitarre, tastiera e sax che fa presagire l’inizio di The Bells. Perfetta chiusura, verrebbe da pensare, con Lou che canta il capolavoro in modo appassionato e sentito, con la band che gira senza errori o cedimenti e con il pubblico completamente conquistato dalla grandezza di una canzone che si vorrebbe non finisse mai. Però dopo quasi dieci minuti la magia si spezza, si deve spezzare per forza, e così tutti i musicisti in fila sul palco a ringraziare con Lou, monolitico, al centro. All’uscita del gruppo però le luci non si riaccendono sull’arena e nessuna musichetta di accompagnamento all’uscita esce dalle casse anzi, sul palco i movimenti dei tecnici fanno sperare in un altro bis. Che non tarda, con Lou che ringrazia ripetutamente prima di regalare, ancora dal passato Velvet Underground, Pale Blue Eyes, l’ ultima perla acustica che chiude una perfect night.
E qui torniamo all’inizio…è un Lou Reed quasi commosso - per quanto possa esserlo una faccia scolpita nella pietra - quello che a fine concerto ringrazia il pubblico dell’ arena civica di Milano...
Setlist
Who Loves The Sun
Senselessly Cruel
All Through The Night
Ecstasy
Smalltown
Mother
Venus In Furs
Sunday Morning
Femme Fatale
Waves Of Fear
Sweet Jane
Bis 1
Charley’s Girl
I Wanna Boogie With You
The Bells
Bis 2
Pale Blue Eyes